Manifesto della Cucina Italiana Contemporanea
Con questo Manifesto racconto il mio sviluppo professionale degli ultimi anni, votato a unire il valore qualitativo ed emozionale della tradizione a uno sguardo imprenditoriale ben definito, con l’obiettivo di portare la sua percezione verso un livello più alto. Condividendo i sette punti della mia filosofia culinaria l’intento è quello di dare la possibilità a tutti i colleghi cuochi di svilupparli per valorizzare la nostra cultura gastronomica e riportarla al centro dell’attenzione. E non mi rivolgo solo agli chef dei ristoranti più raffinati, ma anche alle trattorie e ai locali storici -a quelli dei piatti del buon ricordo italiano- dove il gusto, la genuinità e la qualità della materia prima sono da sempre i protagonisti.
La raffinatezza in cucina si coglie nella capacità di sintesi e di semplicità affidate alle mani del cuoco. Quasi 2000 anni fa Seneca sosteneva che, quando le ricette non erano “corrotte dalle pretese del piacere”, il corpo degli uomini era più sano e forte mentre con l’introduzione di infinite salse e condimenti “ciò che era cibo per commensali affamati divenne un peso per stomaci sazi”. Anche il Sig. Marchesi, con il suo processo di sottrazione, ha evidenziato come la chiave per apprezzare il vero sapore di un petto di piccione fosse proprio separarlo dalla salsa. Secondo la mia esperienza è nel recupero dell’essenzialità e nella valorizzazione del gusto naturale delle materie prime che l’arte della cucina raggiunge la sua massima espressione.
Negli ultimi anni oltre il 75% della biodiversità mondiale è andata persa. Oggi, più che mai, è necessario salvaguardare le eccellenze di un territorio ricco come quello italiano. Iniziando dal piacere di comprare al mercato e dalla valorizzazione dei piccoli produttori locali è possibile consumare materie prime stagionali e quindi sostenibili, rispettando i ritmi della natura e facendo del bene alla nostra terra. Dal 2013 lavoro con quaranta diversi fornitori distribuiti sul territorio nazionale, capaci di garantirmi la freschezza e la qualità degli ingredienti in base alle disponibilità della stagione. Inoltre, nella mia cucina non impiego nessun pesce che non sia di origine mediterranea: alici e sgombri, per esempio, sono nutrienti e non di allevamento e fanno bene sia alla salute che al gusto.
Picasso diceva di aver impiegato una vita a imparare a disegnare come un bambino, traslando una tecnica naturale ed emotiva all’interno di un quadro. Per il cuoco realizzare un piatto riconoscendo soltanto la legge dell’equilibrio imposta dalla natura racchiude lo stesso pensiero ed è il segreto per tracciare la strada della cucina nel prossimo futuro. Come sosteneva Henri de Toulouse-Lautrec, pittore e amante della gastronomia, per diventare “cuochi senza pregiudizi” bisogna riconoscere la natura come regola principale.
Mi piace pensare che, una volta apprese perfettamente le tecniche e le basi della cucina tradizionale, arriva il momento di metterle da parte per andare avanti, poiché tradizione non significa “rifare il passato”, ma bensì è la desinenza unica da cui partono due sostantivi: tradurre e tradire. Per tradurre il passato nel futuro bisogna tradirlo e, per riprendere le parole di Toulouse-Lautrec “non è necessario farlo per ignoranza o negligenza” ma per evolvere il sapere e raggiungere una nuova consapevolezza. Dal 2013 il mio approccio alla cucina italiana riprende infatti le ricette regionali e le “restaura”, alleggerendole e semplificandole per renderle apprezzabili dai palati contemporanei. I piatti della tradizione tornano in vita in modo sano e leggero, raggiungendo un alto livello gastronomico.
La valorizzazione della regionalizzazione italiana è la nuova frontiera della cucina. Non esistono infatti altri luoghi al mondo che possano vantare la nostra biodiversità in termini di ricettazione: ogni regione, città e perfino piccolo paese ha i suoi ingredienti e preparazioni tipiche. Siamo studiati da tutti e per questo dobbiamo prendere coscienza dell’enorme potenziale del nostro territorio e della storia culinaria che affonda le radici nell’antica Roma quando è nata, per esempio, la colatura di alici, a quel tempo conosciuta come Garum. Oggi ci troviamo contaminati da una serie di culture diverse e lontane dalle nostre che ci stimolano a conoscere tecniche e sapori nuovi, ma non possiamo dimenticarci il grande valore di un piatto siciliano, toscano, abruzzese o milanese. La regionalizzazione tra pochi anni rappresenterà per noi la normalità.
Sono molto legato a questa frase che mi ripeteva sempre il Sig. Marchesi. Infatti, la condivisione in cucina rappresenta un “tutto”, a partire dalla formazione e dal lavoro del cuoco, fino al momento in cui un piatto arriva a tavola – il luogo più conviviale che possa esistere. L’esempio si manifesta in un consiglio dato in cucina, nell’osservare il lavoro dei propri colleghi, oppure nel rapporto diretto con i clienti, ai quali non deve essere nascosto niente. Nel mio ristorante la cucina è a vista e la mia brigata lavora con il massimo della trasparenza, senza nessuna barriera che la separi dalla sala.
Il ricettario regionale italiano è per me una fonte continua di ispirazione e lo amo particolarmente per un motivo: non contiene nessuna immagine. Le ricette sono descritte con testi che lasciano spazio alla mia immaginazione e non mi tentano verso nessun tipo di “imitazione”. Secondo me, infatti, un cuoco deve usare il cervello e non gli occhi per allenarsi al bello e al buono piuttosto che copiare una ricetta vista su un libro o in qualche ristorante gourmet. Leggere con la mente è importante per riuscire a esprimere sempre la propria personalità, seguendo questi tre passaggi fondamentali: riflettere, ragionare e trasmettere.